La leadership è tutt’altro che autoritarismo e decisioni prese in solitaria: piuttosto ha a che fare con la generosità, il rispetto e la compassione. In lingua inglese, con la parola “grace”, ovvero grazia: questo il punto di vista estremamente particolare di John Baldoni, executive coach e leadership educator americano con chiare ascendenze italiane.
Il primo pensiero relativamente alla leadership è che “Qualche volta mi viene da pensare che niente è cambiato, poiché alcuni principi della leadership sono senza tempo. Dal momento in cui viviamo in delle comunità, abbiamo dei leader. Penso che quello che sia cambiato è il contesto, ovvero quello che davvero significa essere leader, specialmente in questi tempi che stiamo vivendo. Se prima un leader possedeva delle caratteristiche decisamente più hard, ora nella mia visione è una persona compassionevole, che crede nelle persone e ha empatia, che per un leader significa riuscire a percepire le difficoltà e la sofferenza altrui. Un leader prova a rendere migliore la vita delle persone con cui collabora, se ne ha la possibilità”.
Ovviamente leader e le organizzazioni sono stati investiti in pieno da questo ultimo anno e mezzo di pandemia ed ora, una volta terminata la campagna vaccinale, si trovano di nuovo di fronte a un nuovo cambiamento, che potrebbe portare le persone a rivedersi più spesso in presenza.
“La grande domanda è: che cosa ha provocato l’isolamento? Dal mio punto di vista è stato senz’altro un periodo di riflessione, per i leader , ma anche per tutte le persone. In questo contesto molti leader hanno compreso che magari si trovavano nel posto giusto, ma che dovevano ripensarsi. Di queste cose ho parlato nel mio recente libro Grace notes, che è incentrato sulla affermazione dello spirito umano nonostante le avversità. Penso che dobbiamo sederci per un attimo e dirci a noi stessi: siamo sopravvissuti, è stato un anno molto pesante, ma noi siamo qui, così come il nostro business. Dunque dobbiamo riflettere su quello che abbiamo imparato e su quello che invece potremmo fare meglio, come leader, come business people, su come possiamo far muovere le persone insieme, su come possiamo far andare avanti i loro sogni”.
Come si applica tutto questo nel contesto italiano, caratterizzato dalla presenza di tante piccole e medie imprese?
“Ho avuto la possibilità di parlare ai business leader italiani, alcuni guidano vere e proprie eccellenze, talvolta con alle spalle esperienze che durano da centinaia di anni. Tutti hanno potenzialmente l’opportunità di essere dei leader. Occorre avere senso di autonomia, responsabilità e anche la capacità di accettare le conseguenze. Esistono programmi di sviluppo delle leadership, che possono aiutare le persone che guidano questo tipo di business. In ogni caso occorre capire, cosa vogliono i consumatori, i clienti e gli stakeholder e comprendere cosa posso fare per servirli al meglio come leader”.
Tra le cose che andranno ripensate nel futuro c’è senza dubbio l’organizzazione del lavoro, destinata sempre di più a muoversi in modalità ibrida:
“Non posso dare risposte definitive, ma la mia speranza è che in futuro saremo molto più flessibili. Ci sono un sacco di cariche in azienda, ma la cosa importante da ricordare è che lavoriamo per la stessa impresa, dobbiamo dunque imparare a condividerne gli scopi. La sfida è come connettere queste persone e, in realtà, tutto dipende dalla capacità di sviluppare il giusto grado di collaboration. Inoltre, c’è da dire che in questo anno e mezzo abbiamo imparato una grande lezione: la resilienza, cioè la capacità di assorbire i colpi da Ko. Come peraltro scrivo in Grace Notes, il mondo è cambiato, non siamo più nel gennaio 2020. Penso e spero che i valori rimangano gli stessi, ma le persone sono cambiate, abbiamo imparato a fare le cose in una maniera differente, a lavorare da qualsiasi parte, che significa più libertà ma anche più responsabilità. Penso che le persone abbiano imparato nuove vie per condividere le idee e lavorare insieme. D’altra parte quando si era sempre in ufficio c’erano spesso un sacco di interruzioni, mentre ora si è capito come essere più produttivi: bisognerà combinare questi aspetti con i vantaggi di essere presenti in ufficio, una o più volte alla settimana. Altro tema importante è la capacità di sperimentazione: bisogna essere preparati sempre al cambiamento”.
Tutto questo, ovviamente, interessa da vicino anche la capacità di leadership:
“In questo contesto bisogna interrogarsi su quale sia la maniera migliore per essere produttivi e coinvolti e questo credo che sia la chiave di volta per qualsiasi leader. Anzi credo che proprio l’engage sia la chiave: occorre coinvolgere le persone e fare in modo che il loro lavoro gli piaccia. Altro punto importante è la Collaboration: occorre avere una mentalità aperta, essere pronti a imparare dagli altri, oltre che possedere un cuore aperto. Tutte queste qualità, ovviamente, devono essere messe nel proprio lavoro. Il leader deve permettere ai propri collaboratori di svolgere il lavoro nel miglior modo possibile”.
C’è poi un aspetto che Baldoni valuta come estremamente rilevante, quello del coinvolgimento e del senso di appartenenza. Secondo l’executive coach, infatti, quando le persone sentono di appartenere a qualcosa, oppure hanno uno scopo e una motivazione condivisa, tendono a impegnarsi di più nel proprio lavoro. E il leader ha la responsabilità di coinvolgere menti e cuori, così che le persone comprendano a cosa appartengono e per quale motivo realmente lavorano.
Mettendo a freno l’irruenza tipica del vecchio modo di intendere la leadership: “Senza dubbio la componente chiave della leadership è l’azione: come leader occorre muoversi da un punto all’altro e riuscire a portare le persone con te, ma se ci si muove troppo ci si dimentica di pensare. Bisogna perciò trovare un bilanciamento tra azione e discussione. Come leader dobbiamo disciplinarci: prima pensare e poi agire e penso che la pandemia ci abbia dato una opportunità in tal senso”.
Questa nuova concezione della leadership ha molto a che fare con l’apporto che le giovani generazioni possono dare alle sorti delle imprese:
“Siamo abituati a una concezione tradizionale mentorship, in cui gli impiegati più vecchi insegnano a quelli più giovani. Eppure, è possibile andare nella direzione opposta, con gli impiegati più giovani che insegnano a quelli più vecchi, riguardo ad aspetti come tecnologia, media, ecc. Credo che una persona giovane conosca meglio queste cose rispetto a quelli della mia generazione: dunque, anche se non hanno la nostra stessa esperienza alle spalle, hanno comunque qualcosa di importante da insegnarci”.